"Quando infine ho trovato il tempo di guardare dentro il cuore di un fiore,
mi si è spalancato un nuovo mondo...
come se si fosse aperta una finestra
per far entrare il sole."

(Principessa Grace di Monaco)

martedì 10 maggio 2011

LA GINESTRA, O IL FIORE DEL DESERTO

Ginestra sui monti

La ginestra o Il fiore del deserto è la penultima lirica di Giacomo Leopardi, scritta nel 1836 a Torre del Greco, vicino Napoli, a Villa Ferrigni e pubblicata postuma nel 1845.

Nonostante sia un pessimista Leopardi rivolge il suo pensiero all’avvenire e con questo canto vuole mandare agli uomini un messaggio di solidarietà.

Attraverso la simbologia della ginestra descrive il paesaggio del Vesuvio desolato, ma rallegrato da questa pianta, fermandosi a contemplare la potenza distruttiva delle eruzioni del vulcano.
 
Vi proponiamo una breve parte del testo in cui il poeta fa riferimento alla ginestra:

Qui su l’arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null’altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna de’ mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d’afflitte fortune ognor compagna.
(……..)
Fiori di ginestra

Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola.
(………)

E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l’avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell’uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.

La 1^ Foto dell'articolo è stata realizzata da: Monica Arellano-Ongpin
La 2^ Foto è stata realizzata da: Sundust_L

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